Claudio Parrini





Elogio al mestiere del buon pittore…

di Raffaello Becucci


Ecco, ancora una volta ci risiamo. La domanda è, ormai, di rito, un topos: “che ruolo occupa oggi la pittura?”, “si può parlare sempre di pittura”, ma soprattutto “che cos’è mai la pittura?”. E’ quasi un tormentone, come le sigle televisive o le canzonette estive, che ci entrano nelle orecchie fino a stordirci, procurandoci l’otite.
Ed ecco qua la canzonetta stonata: La pittura è qui… la pittura c’è… la pittura è tornata… la pittura non c’è… la pittura è estinta… la pittura è risorta…
Il soggetto del discorso lo abbiamo capito tutti: la pittura, questo è chiaro. Ma perché tutta questa insistenza, tutto questo dire, tutto questo vomito di esaltazione e, un attimo dopo, di abnegazione, di rigetto! Ad ogni squillo di tromba, inizia il ritornello… e giù di tutto, di tutto e di più: mostre che piovono dal cielo, e che infestano l’infestabile, cataloghi, libri, conferenze, concorsi. Tutti intenti a scoprire il grande mistero della pittura, come se questa fosse un mistero. Ora, a me sembra assurdo che il dipingere sia considerato un mistero, perché, ve lo garantisco, non lo è. Come fa ad esserlo qualcosa che esiste, praticamente, da sempre, ma soprattutto, una cosa che si può “oggettivamente” toccare con mano? Malgrado tutto, la nostra epoca tende a sconsacrare ciò che è sacro, a non dare valore effettivo a ciò che ce l’ha. E’ un difetto grave, non soltanto per l’argomento che sto qui affrontando, ma anche per molte altre questioni. L’unico rimedio, secondo il mio punto di vista, è la consapevolezza, è la curiosità per chi non sa di conoscere, a capire oltre le più facili definizioni.
Per farla breve, si fa un gran parlare della pittura, se ne parla tanto, se ne straparla. E quasi sempre ha sproposito. In verità non tutti sanno di cosa sto parlando, perché pochi conoscono, fin nelle viscere più intestine, cosa in verità nasconda la pittura. Niente misteri, niente trucchi. Bisogna saper leggere, guardare, osservare, bisogna scoprire cosa cela la tanto parlata pittura. Il nocciolo della questione. Il fulcro del problema. Anzi spezzerò una freccia: per me il problema della pittura non esiste, nel senso che la pittura esiste, c’è e si vede, e la sua esistenza è forse la migliore risposta al “grande” dilemma. Comunque, per rispetto alle domande, che hanno sempre motivo di esistere, è opportuno tentare delle risposte. Soprattutto, vorrei soffermarmi sull’ultima di queste domande: “cos’è la pittura?”. Forse un espediente per illustrare la realtà, oppure di rendere visibile l’invisibile? Ma può essere anche di far vedere ciò che non esiste, o che la realtà tende a nascondere? Ma c’era anche chi affermava che la pittura altro non è che un falso, poiché copia di un falso che si chiama natura. Un falso al quadrato? Io credo che la pittura sia una necessità che si fa espressione sentimentale, un modo per dimostrare di esserci, per comunicare qualcosa di importante, ma anche, in maniera più coatta e grossolana, un espediente per impegnare il fine settimana, dilettandosi a trovare la tanto agognata pace interiore – si parla, spesso, di pittura terapia, contro lo stress…
Ma le domande incalzano come non mai: “cos’è mai questa pittura?”, “perché si parla tanto di pittura?”. Forse un vero significato non lo ha mai avuto, e questa è stata la sua fortuna, ed è per questo che ha resistito a tutto, a tutte le innovazioni possibili ed immaginabili. E’ come se fosse stata vaccinata.
Ha ancora senso dipingere, anzi forse oggi come oggi ha più senso di alcuni anni fa. Non che in passato la pittura fosse sostituibile con altre trovate, ci mancherebbe, ma oggi, in un caos artistico e culturale evidente, mi sembra doveroso ritornare ad una qualche chiarezza, alla semplicità, ma soprattutto alla felicità e alla soddisfazione di fare arte, sia con la mente e con le proprie mani, quelle mani che riscoprono la gioia di realizzare e, attraverso l’abilità, la bellezza e il sapore del bello… La pittura non è una cura, ci mancherebbe (solo i medici hanno la pretesa di curare chi è malato), non è nemmeno un placebo, però aiuta…
Parlando di pittura, è opportuno conoscere anche lui, l’artefice di tutto questo, ovverosia il pittore. Chi è mai costui? E’ colui che continua, coraggiosamente e con molta ostinazione, a sfidare l’ira delle immagini.
Ed è in questa sfida con/oltre se stesso che Claudio Parrini si è ritrovato a dipingere quadri volutamente banali, brutti, “quadracci” da poco, ma proprio nel “poco” si nasconde la ricchezza di queste tele, una ricchezza che, vedremo, si situa nella semplicità di un prodotto artistico.
Iniziamo da una definizione, coniata dall’artista per affrontare a spalle coperte il problema: “arte da trattoria”. Che cosa si intende per “arte da trattoria”? E’ quella produzione che noi vediamo alle pareti di pizzerie e osterie, quei quadri esposti spesso dai barbieri rionali. Pittura facile, solo all’apparenza, che si acquista ai grandi magazzini (si compra bene all’ingrosso, così ci scontano pure le cornici!), nei mercatini parrocchiali o dagli antiquari. Intendiamo, quando si parla di opere “da trattoria”, quadri di piccole e medie dimensioni, dipinti ad olio, raffiguranti soggetti dei più popolari come paesaggi di campagna, ritratti, nature morte, pagliacci, marine d’inverno… Il prezzo è contenuto, indice di una produzione popolare e di una diffusione quasi industriale del prodotto. Così anche la famiglia che non possiede grandi capitali da investire in quadri d’autore, può benissimo arredare il salotto. Arredare per il buon gusto di arredare, anche per coprire con un quadro una imbarazzante macchia di umidità!
Sono passati alcuni anni da quando Claudio ha avuto la conversione. Prima del ritorno alla pittura, per molto tempo è stato uno dei maggiori interpreti dell’arte in rete. Fenomeno che ha caratterizzato gli anni novanta. E’ stato uno dei fondatori di StranoNetwork. Sotto questa sigla, Claudio ha realizzato in proprio, o avvalendosi di collaboratori ipertesti, progetti multimediali, collaborando spesso con istituzioni e centri sociali. Un giorno, sapete, una di quelle giornate strane, le sue certezze di uomo computer si sono frantumate… Claudio ha deciso così di spegnere internet per riprendere in mano il suo amato cavalletto, ritornando a pitturare all’aria aperta, in en plen air. Un artista tecnologicamente avanzato è ritornato ad essere un povero, semplice pittore dal vero. Non è questa, in fondo, evoluzione della specie? Anche se, in fondo, non si è messo in contraddizione: quando faceva ipertesti lavorava sul “popolare”. Oggi da pittore fa quadri per il “popolo”.
La sua tavolozza, è proprio il caso di dirlo, si ispira, anzi si nutre nel novecento italiano. Difatti, quando io e Claudio ci incontriamo, le nostre animate discussioni vanno sempre a finire a vari Cesetti, Sassu, Omiccioli, e ai tanti altri esponenti della lunga tradizione figurativa. Nelle tele rivivono, difatti, i toni e le pennellate di Pio Semeghini, Carlo Carrà, Filippo De Pisis, Michele Cascella, Umberto Lilloni, Ottone Rosai. Ma a Claudio non basta questo, la sua fame di pittura ha scomodato, si fa per dire, anche i naif. In maniera particolare, è suggestionato dalle opere di Antonio Ligabue. Si parla di naif, anche se il termine devo dire è improprio, chiamando in causa un fenomeno artistico che si è sviluppato nella provincia italiana, ma non solo. Protagonisti del fatto, una schiera numerosa di pittori anomali, lontani dai conformismi e dalle mode, ignoranti per scelta (o per destino) ma felici nel divulgare questa loro esigenza di primitivismo come una bandiera, come un comandamento… Ma Claudio è affascinato anche dai pittori ambulanti, da quelli della domenica pomeriggio, da tutti coloro che per hobby si dilettano, o provano a dilettarsi…
Lo stesso artista definisce ciò che fa “sana pitturaccia per le masse, poiché un quadro deve dire senza ipocrisie ciò che è “. Un quadro, per sua natura, è solo un quadro. Eliminando ogni esasperazione concettuale e d’analisi, il quadro ritorna ad essere un oggetto d’arredamento, puro, quasi immacolato. Bello nella sua banalità, prezioso nella sua povertà. Nient’altro.

Personaggi a confronto…
Nel 1928, Renè Magritte dipinse una pipa, secondo i canoni più consoni della pittura dal vero. Sotto una frase ci mette subito in guardia: “ceci n’es pas une pipe” (questa non è una pipa). Magritte ha dipinto la negazione di quello che ha ritratto, la pipa noi non la dobbiamo vedere, c’è la vieta. Difatti la pipa non esiste per se stessa, è solo una negazione. Claudio Parrini, invece, ottant’anni dopo, se dipinge una pipa (ancora però non è mai accaduto), non scrive sotto di essa delle possibili istruzioni d’uso. Lui dipinge ciò che gli altri devono, per forza, vedere, non scende a compromessi nè con se stesso nè con gli altri. Quindi non costruisce sul soggetto raffigurato strategie effimere di pensiero, dipinge ciò che gli piace, ciò che trova appagante senza peso, senza pensarci su molto, istintivo quasi… Ad esempio, un cesto di mele, per lui, non ha significati oscuri o ermetici. Un cesto di mele è, prima di tutto, un normalissimo cesto di mele. Ottimo per chi si vuole esercitare con la resa dal vero, imparando così a dare bene i colori e il chiaroscuro!


Non ci stupiremo, allora, di vedere le opere di Parrini esposte in spazi tra loro diversi, tutti però deputati ad esporre: una galleria d’arte, un museo, ma anche un emporio, un bar, fino a qualche festosa fiera gastronomica, tipo la “sagra del ranocchio fritto”!
La sua pittura è lì, pronta a parlare con tutti, senza escludere nessuno, senza ipocrisie di considerare un lavoro d’arte espressione d’elitè, avere la modestia di parlare una lingua che tutti possono capire – lingua visiva, ovviamente. La riscoperta di Claudio Parrini è nell’essersi riscoperto per ciò che è, un ritrattista, un paesaggista (in psichiatria questo si chiamerebbe autoanalisi, poiché Claudio è ritornato a dipingere come quando era ragazzo, ignaro delle avanguardie ma consapevole degli “artisti” che aveva avuto modo di conoscere da qualche amico corniciaio, o ai circoli del dopo lavoro, al massimo sfogliando l’enciclopedia di casa, la quale per distrazione non cita mai Beuys ma soltanto Guttuso, Tosi o Mafai!).
Vorrei da ultimo sottolineare come in Claudio Parrini non ci siano intenti nè ironici nè provocatori. La sua è una lenta, silenziosa rivoluzione, che ha come fine la ripresa di un mestiere, di una vocazione, ovvero quella di pittore figurativo e di esponente dell’arte da trattoria. Utilizzando un curioso gioco linguistico, mentre altri si dedicano alla pittura dipingendo, Claudio si limita a pitturare pur sapendo dipingere. Sta tutta qui la sua rivoluzione!



Raffaello Becucci

2005